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domenica 19 maggio 2013

CI VUOLE MASANIELLO.

IERI.............

La rivolta di Masaniello
Nella prima metà del ‘600 Napoli era precipitata in una gravissima crisi socio-economica, aggravata dall’assoggettamento alla corona di Spagna che, combattendo guerre sempre più dispendiose, esigeva da Napoli esosi balzelli. Nel 1646 il viceré spagnolo Rodrigo Ponce de Leòn, duca d'Arcos aveva ulteriormente aumentato il carico di tasse applicate, sicché l’anno successivo bastò l’aumento del prezzo della frutta fresca, perché il 7 luglio del 1647 la rivolta scoppiasse in tutta la sua violenza al grido di “Viva il re di Spagna, mora il malgoverno”. Il motto dimostra la gran confusione regnante nel popolo, per il quale il re impersonava ancora la giustizia e i ricchi l'arbitrio. Non fu una rivolta antispagnola, come vorrebbe la storiografia italiana dell'Ottocento, impregnata di retorica nazionalistica, ma un’insurrezione scaturita dalle miserevoli condizioni in cui versava il popolo.
I “lazzaroni”, guidati da alcuni capi tra cui Masaniello [1] e suo cugino Maso, armati con armi sottratte alle caserme o ai soldati, sbaragliarono la guardia spagnola e si riversarono in Palazzo Reale. Travolto chiunque altro tentasse di fermarli, irruppero negli appartamenti del vicerè abbandonandosi alla devastazione. L'ira popolare si abbatté contro nobili e borghesi, molti palazzi signorili furono dati alle fiamme e furono commessi ogni sorta di delitti. Gruppi di rivoltosi devastarono gli uffici daziari bruciandone i registri e aprirono le carceri. Furono attaccate anche le case di funzionari governativi, come quella di Girolamo Letizia, considerato un infame gabelliere, che fu distrutta e data alla fiamme nei pressi di Portanova. Venne quindi insediato un Comitato Rivoluzionario nella Chiesa del Carmine.
Il vicerè duca d'Arcos era uomo inetto e pavido per natura, e fu pertanto assolutamente incapace di affrontare una situazione tanto drammatica e pericolosa, che minacciava di ora in ora di allargarsi, come una macchia di olio, anche nelle altre province del reame. Il duca ebbe appena il tempo per riparare precipitosamente nel vicino convento di San Luigi e, quando capì che nemmeno lì stava al sicuro, fuggì con pochi fedeli nel Castello di Sant'Elmo. Ma il capitano del forte, Martino Galiano, non poté fare gran che per l'illustre ospite, perché non disponeva di riserve di munizioni e viveri. Al vicerè, quindi, non restò altra alternativa che ridiscendere in città ed accettare le umilianti e pesanti condizioni imposte da Masaniello.
Questi era consigliato dal letterato Giulio Genoino [2] – secondo alcuni il vero ideatore della rivolta – ed ottenne dal viceré la concessione di una costituzione popolare sul modello dei capitoli di Carlo V, che fu redatta dallo stesso Genoino. Masaniello fu nominato “Capitano generale del fedelissimo popolo”. Seguirono alcuni giorni di pace apparente che servirono agli Spagnoli per rifornire abbondantemente i castelli della città.
Masaniello, inebriato del potere, cominciò ad ordinare provvedimenti ed esecuzioni arbitrarie, tanto che la sua breve esperienza rivoluzionaria si concluse appena nove giorni dopo l'inizio dell'insurrezione, il 16 luglio, quando fu ucciso. Quel giorno, in cui si festeggiava Maria SS. del Carmine, Masaniello, affacciato alla finestra della sua casa, aveva pronunciato un discorso farneticante, accompagnato da gesti insulsi ed era arrivato persino a denudarsi. I popolani venuti ad ascoltarlo, gli si rivoltarono contro, sembra con l'appoggio dello stesso Genoino. Masaniello fuggì nella chiesa del Carmine, riparando sul pulpito. Venne però catturato e ucciso a colpi di archibugio da tal Ardizzone con alcuni compari. Uno di loro, Salvatore Catania, decapitò il corpo di Masaniello con un coltello. La testa fu portata al vicerè come prova, mentre i poveri resti furono trascinati per l’intera piazza, poi abbandonati in pasto ai cani.
Il giorno dopo alcuni popolani raccolsero i miseri resti che furono tumulati, con gli onori militari dovuti ad un generale, nella Chiesa del Carmine  [3]. Una lapide ed una statua nella chiesa del Carmine ed una piazzetta nei pressi di Piazza Mercato ricordano oggi Masaniello. Molto miserevole fu anche la sorte della moglie di Masaniello, Bernardina Pisa, sposata nel 1641. Rimasta sola dovette prostituirsi per campare. Morì poi di peste, nel 1656.
La rivoluzione non finì con la morte di Masaniello. La città era caduta in uno stato d’anarchia, contrassegnato dagli scontri tra i ceti borghesi che si erano uniti ai rivoltosi e la nobiltà napoletana. Ad aumentare il clima di forte instabilità vi erano anche l’azione della Francia, che intendeva approfittare dell’occasione per rinverdire le pretese sul Regno di Napoli. Gli scontri contro la nobiltà e i soldati spagnoli si susseguirono violentissimi per tutto luglio e agosto. Fu infine dichiarata la Repubblica Napoletana, che fu subito riconosciuta dalla Francia.
OGGI.........
 
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Siamo in un campo di concentramento e ci siamo abituati a queste notizie. Ma sono queste le priorità. Salvare le persone. E loro cosa fanno? Rinviano l'IMU di 2 mesi.
Vaffanculo al rinvio dell'IMU di 2 mesi!".
E NON DIMENTICHIAMO I TANTI IMPRENDITORI ONESTI CHE SI SONO SUICIDATI
NEL  NOME DELLA LORO ONESTA', E TANTI CHE SI SONO  UCCISI E FORSE SI UCCIDERANNO GRAZIE AGLI AVVOLTOI CHE SI SONO MANGIATI E MANGERANNO NON LE CARCASSE,  MA L'ANIMA ED IL LORO CORPO DA VIVI.
 
MA S A N I E L L O   DOVE SEI? 

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