Corpo di donna
Corpo di donna, bianche colline,
cosce bianche, tu rassomigli al mondo nel tuo
atteggiamento d'abbandono. Il mio corpo di contadino selvaggio
ti scava e fa saltare il figlio dal
fondo della terra. Sono stato solo come una galleria.
Da me fuggivano gli uccelli e in me la notte entrava con
la sua invasione possente. Per sopravvivermi ti ho forgiata
Come un'arma, come una freccia al mio arco,
come una pietra nella mia fionda. Ma cade l'ora della vendetta,
e ti amo. Corpo di pelle, di muschio,
di latte avido e fermo. Ah le coppe del petto!
Ah gli occhi dell'assenza! Ah la rosa del pube!
Ah la tua voce lenta e triste! Corpo di donna mia,
persisterà nella tua grazia.
La mia sete, la mia ansia senza limite,
la mia strada indecisa! Oscuri fiumi dove la sete
eterna continua, e la fatica continua,
e il dolore infinito.
XVIII - ALLA SUA DONNA |
Cara beltà che
amore
Lunge m'inspiri o nascondendo il viso,
Fuor se nel sonno il
core
Ombra diva mi scuoti,
O ne' campi ove splenda
Più vago il giorno e di natura il
riso;
Forse tu l'innocente
Secol beasti che dall'oro ha nome,
Or leve
intra la gente
Anima voli? o te la sorte avara
Ch'a noi t'asconde, agli
avvenir prepara?
Viva mirarti omai
Nulla speme m'avanza;
S'allor
non fosse, allor che ignudo e solo
Per novo calle a peregrina stanza
Verrà
lo spirto mio. Già sul novello
Aprir di mia giornata incerta e bruna,
Te
viatrice in questo arido suolo
Io mi pensai. Ma non è cosa in terra
Che ti
somigli; e s'anco pari alcuna
Ti fosse al volto, agli atti, alla
favella,
Saria, così conforme, assai men bella.
Fra cotanto
dolore
Quanto all'umana età propose il fato,
Se vera e quale il mio
pensier ti pinge,
Alcun t'amasse in terra, a lui pur fora
Questo viver
beato:
E ben chiaro vegg'io siccome ancora
Seguir loda e virtù qual ne'
prim'anni
L'amor tuo mi farebbe. Or non aggiunse
Il ciel nullo conforto ai nostri affanni;
E
teco la mortal vita saria
Simile a quella che nel cielo india.
Per le valli, ove suona
Del
faticoso agricoltore il canto,
Ed io seggo e mi lagno
Del giovanile error
che m'abbandona;
E per li poggi, ov'io rimembro e piagno
I perduti desiri,
e la perduta
Speme de' giorni miei; di te pensando,
A palpitar mi sveglio. E potess'io,
Nel
secol tetro e in questo aer nefando,
L'alta specie serbar; che
dell'imago,
Poi che del ver m'è tolto, assai m'appago.
Se dell'eterne
idee
L'una sei tu, cui di sensibil forma
Sdegni l'eterno senno esser
vestita,
E fra caduche spoglie
Provar gli affanni di funerea vita;
O
s'altra terra ne' superni giri
Fra' mondi innumerabili t'accoglie,
E più
vaga del Sol prossima
stella
T'irraggia, e più benigno etere spiri;
Di qua dove son gli anni
infausti e brevi,
Questo d'ignoto amante inno ricevi. Poesia di Cesare Pavese Donne appassionate Le ragazze al crepuscolo scendono in acqua, quando il mare svanisce, disteso. Nel bosco ogni foglia trasale, mentre emergono caute sulla sabbia e si siedono a riva. La schiuma fa i suoi giochi inquieti, lungo l'acqua remota. Le ragazze han paura delle alghe sepolte sotto le onde, che afferrano le gambe e le spalle: quant'è nudo, del corpo. Rimontano rapide a riva e si chiamano a nome, guardandosi intorno. Anche le ombre sul fondo del mare, nel buio, sono enormi e si vedono muovere incerte, come attratte dai copi che passano. Il bosco è un rifugio tranquillo, nel sole calante, più che i greto, ma piace alle scure ragazze star sedute all'aperto, nel lenzuolo raccolto. Stanno tutte accosciate, serrando il lenzuolo alle gambe, e contemplano il mare disteso come un prato al crepuscolo. Oserebbe qualcuna ora stendersi nuda in un prato? Dal mare balzerebbero le alghe, che sfiorano i piedi, a ghermire e ravvolgere il corpo tremante. Cl son occhi nel mare, che traspaiono a volte. Quell'ignota straniera, che nuotava di notte sola e nuda, nel buio quando muta la luna, è scomparsa una notte e non torna mai più. Era grande e doveva esser bianca abbagliante perché gli occhi, dal fondo del mare, giungessero a lei. |
Nessun commento:
Posta un commento