08-03-2019
Il corpo femminile, scriveva
Ida Magli, è sempre più linguaggio
di mercato e sempre meno
autonomia di azione e di pensiero.
Se ne fa un uso universale;
oltre che negli spettacoli di
varietà, in qualsiasi pubblicità,
nei programmi televisivi,
perfino quando si parla di
economia o di previsioni
meteorologiche. La sua
esposizione ammiccante è
la nuova cifra iconografica
della società in cui viviamo,
e finisce per rappresentare la
volontà palese di fare regredire
il mondo delle libertà
femminili.
L’emancipazione che
noi donne abbiamo
faticosamente guadagnato
troppo spesso infastidisce
e irrita: soprattutto gli
uomini di potere. Le vecchie
armi, però, basate sulle
proibizioni e i dinieghi,
appaiono ormai spuntate.
Cosa possono inventarsi i
maschi per disattivare
alcuni diritti che ormai
diamo per scontati? Fingeranno
forse che la vera libertà non
consista nella conquista
degli studi, dell’autonomia,
della dignità, ma nel
mostrarsi sempre più
seducenti e spregiudicate.
Le donne sono inchiodate
al proprio corpo da
un doppio destino: bellezza
(e lusinga) da una parte,
dipendenza economica
(e sociale) dall’altra.
Si fa di tutto per limitare
il linguaggio femminile
profondo, per ridurre la
donna a un’epifania di
organi in mostra. Perché
le donne dovrebbero usare
i linguaggi che le
metterebbero in competizione
con gli uomini? Perché
dovrebbero dire qualcosa
di proprio? Perché dovrebbero
pretendere di elaborare
qualcosa di nuovo su politica,
economia, futuro, arti,
amore, sesso? La parola
è universale, vero. Ma
quest’universalità è improntata
sull’androcentrismo.
Certo: non si tratta di
soggezione buia, nera,
come quella delle donne
musulmane costrette
dentro uno scafandro
di stoffa che toglie loro
visuale e visibilità.
Il mercato ha altri modi
di sottomettere e costringere,
elaborando il mito di una
donna libera e padrona
di sé. Non è meraviglioso
guardare una ragazza che
si avvia verso il futuro,
bellissima, truccatissima,
con i capelli al vento,
la pancia di fuori e qualche
tatuaggio visibile? Il paradosso
è che in realtà le due prigioni
si assomigliano: allo scafandro
sotto cui si trova mortificato
e muto il corpo femminile,
equivale, nel senso opposto,
l’esibizione insistita del corpo
femminile semivestito che
strizza l’occhio al compratore.
Ragazze: sono due forme
di espropriazione. Due
modi di asserire la nullità
di quel corpo che ancora
una volta esiste in quanto
proprietà di un patrocinatore,
di un venditore, di un manager
. Di un commerciante di carne umana.
scritto da Dacia Maraini
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