Solo l'esistenza di Dio può
vincere l'incertezza che il genio
maligno getta su ogni conoscenza
ed è l'esperienza della libertà
che mi conduce all'affermazione
di tale esistenza. Cartesio segue
tre vie per dimostrare l'esistenza
di Dio. Le prime due muovono
dalla mia imperfezione e dalla
presenza in me dell'idea di
qualcosa di perfetto per
concludere all'esistenza di Dio,
mentre la terza è una ripresa della prova
La dimostrazione dell'esistenza
di Dio mi garantisce dunque contro
ogni ipotesi di genio maligno,
poiché Dio, in quanto perfetto,
non può essere menzognero.
Egli pertanto non può ingannarmi
quando io giungo all'evidenza,
né può ingannarmi popolando
il mio pensiero di fantasmi fallaci.
Io avverto in me la tendenza
irresistibile a considerare ciò
di cui ho idea come esistente
anche esistente in realtà.
L'esistenza di Dio garantisce
anche questa mia tendenza naturale.
Dio dunque è garante dell'esistenza
del mondo. Egli è garante della
verità, nel senso cioè che la sua
esistenza garantisce che ciò che
è stato colto una volta come vero
continua immutabilmente a essere
vero, indipendentemente dalla mia
capacità di ripercorrere quella
catena di evidenze che mi aveva
condotto all'affermazione della
verità. Dio dunque propriamente
è garante della permanenza della
verità. Sembra a questo punto,
sulla base del metodo dell'intelletto
finora elaborato, che ogni
possibilità di errore sia negata.
L'errore è tuttavia possibile
per la maggior estensione,
per così dire, della volontà
dell'intelletto. La volontà
infatti può precipitare il
giudizio pronunciandolo
prima che l'intelletto sia
pervenuto all'evidenza
(Principia philosophiae, 1647).
Fu spesso rimproverato a
Cartesio di essere caduto
in un circolo vizioso fondando
la dimostrazione dell'esistenza
di Dio attraverso il criterio
dell'evidenza e giustificando
successivamente tale criterio
con la dimostrazione dell'esistenza
di Dio. In realtà questa
accusa non è legittima, poiché
Dio, come abbiamo visto,
non fonda propriamente
la verità, ma ne garantisce
semplicemente la permanenza
. Inoltre il cogito e Dio
non sono verità a cui si
perviene secondo uno
schema dimostrativo di
tipo sillogistico, ma evidenze,
cioè verità che mi si impongono
per la loro stessa forza, come
in se stesse trasparenti e
indubitabili. A questo sono
giunto attraverso il metodo;
con lo sforzo di attenzione che
esso mi propone ho colto al
tempo stesso l'indubitabilità
di me che dubito e la presenza
dell'idea d'infinito in me; ho
colto cioè me come essere
pensante e Dio, e mi sono
aperto all'ammissione
dell'esistenza reale di tutto
ciò la cui esistenza si presenta
al mio pensiero come evidente.
Cartesio è pertanto riuscito
nel proprio intento contro
il naturalismo libertino e il
conseguente ateismo, trovando
in Dio la garanzia dell'esistenza
del mondo e realizzando quindi
una filosofia religiosa. La sintesi
a cui egli è pervenuto si presenta
nuova e antica. Nel suo pensiero
coesistono entrambe le componenti.
Nuova, perché egli ha riproposto
un pensiero religioso su basi
affatto differenti rispetto a quelle
della Scolastica; antica,
perché egli è rimasto ancorato
senza alcuna esitazione a
una concezione di armonica
cospirazione di ragione e
fede, quale si trova in
proprio questa duplicità del
pensiero di Cartesio che
costituisce la sua grandezza
e giustifica le divergenti
interpretazioni che di lui sono
state date. Da un lato infatti
egli sembra fondare la libertà
dell'uomo, e quindi in ultima
analisi la sua stessa capacità
di conoscere, sull'ammissione
dell'esistenza di Dio, dall'altro
egli sembra suggerire la radicale
autonomia dell'uomo, che è
unico arbitro, attraverso il
criterio dell'evidenza, della
verità. Anzi è precisamente
questo aspetto, per così dire,
laico della sua filosofia, che
nel corso dei successivi
sviluppi della storia del pensiero
è stato più frequentemente
ripreso; questa ambivalenza
del suo pensiero spiega come
si sia potuto interpretare Cartesio
ora come filosofo religioso,
ora come scienziato, ora come
iniziatore di una dottrina dell'autonomia
e dell'immanenza della ragione,
che troverà il proprio
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