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venerdì 2 marzo 2018

Lucio Anneo Seneca Lettere a Lucilio

1 Dovevo tornare da Baia a Napoli e
 mi sono subito lasciato convincere
che minacciasse un temporale, per
 non sperimentare di nuovo la nave;
 ma la strada era tanto fangosa che mi
 sembra quasi di essere stato ancòra
per mare. Quel giorno ho dovuto subire
 fino in fondo il destino degli atleti:
 dopo l'unguento, nella galleria di
Posillipo, ci ha assalito la polvere. 2
Niente è più lungo di quello stretto
 passaggio, niente più oscuro di quelle
 torce che ci servono non a vedere in
 mezzo alle tenebre, ma a vedere le
 tenebre. Del resto anche se ci fosse
luce, la ingoierebbe la polvere che è
fastidiosa e seccante anche all'aperto;
immagina là dentro: turbina su se stessa
 e così rinchiusa, non avendo via
 d'uscita, ricade su quelli che l'hanno
 sollevata! Abbiamo perciò sopportato
 due inconvenienti opposti nel
medesimo tempo: per la stessa
strada, nello stesso giorno ci hanno
tormentato polvere e fango. 3
Tuttavia quell'oscurità mi ha dato
l'occasione di riflettere: ho sentito
 un colpo al cuore e un'alterazione,
ma senza paura, causati dalla
stranezza di quella situazione
insolita e orribile. Non ti parlo
ora di me che sono un uomo molto
 lontano da un livello accettabile,
 né, tanto meno, sono perfetto, ma
 di chi si è sottratto al dominio
 della sorte: anche costui si turberà
e sbiancherà in volto. 4 Ci sono reazioni
, mio caro, alle quali nemmeno un
uomo virtuoso può sottrarsi:
 la natura gli ricorda che è mortale.
 Contrae, perciò il volto di fronte
al dolore, rabbrividisce davanti agli
imprevisti, gli si annebbia la vista, se
dall'orlo di una voragine guarda in basso:
 questa non è paura, ma un impulso
 istintivo e irrazionale. 5 Per ciò
 uomini coraggiosi e prontissimi a
versare il loro sangue non sopportano
 la vista del sangue altrui; certi si
sentono venir meno e svengono se
 vedono medicare o esaminare
 una ferita recente, altri una ferita
vecchia e purulenta. C'è chi
 preferisce ricevere un colpo
di spada che vederlo dare. 6 Sentii,
 come dicevo, non un turbamento,
 ma un'alterazione: poi, appena
 vidi riapparire la luce, ritornai allegro
senza pensarci e impormelo. Cominciai
 allora a dirmi quanto siamo sciocchi
a temere certe cose di più, certe altre
di meno, quando poi l'esito è identico.
 Che differenza c'è se ci cade addosso
 il casotto delle sentinelle o un monte?
Nessuna. Eppure c'è chi teme di più
quest'ultima evenienza, sebbene
 entrambe siano ugualmente mortali:
 abbiamo più paura delle cause
 che degli effetti. 7 Pensi ora che
io segua la dottrina degli Stoici,
ossia che l'anima di un uomo schiacciato
da un enorme peso, non avendo via
d'uscita, non può perdurare e subito
 si dissolve? No, non lo faccio:
la ritengo una teoria sbagliata. 8
Come la fiamma non la si può
schiacciare (infatti si propaga
 intorno all'oggetto che la comprime),
 come l'aria non viene ferita da
 colpi o sferzate e nemmeno si
 scinde, ma si riversa intorno al
corpo che ne ha preso il posto;
 così l'anima, formata di particelle
 sottilissime, non può essere presa
o uccisa dentro il corpo, ma, grazie
 alla sua sottigliezza, erompe
attraverso ciò che la comprime.
 Come il fulmine, anche se ha
 colpito e illuminato un ampio
spazio, si ritira attraverso una
 piccola apertura, così l'anima,
più sottile ancòra del fuoco, può
fuggire attraverso ogni corpo.
9 Sorge, perciò il problema
della sua immortalità. Tieni
 questo per certo: se sopravvive
al corpo, non può essere
 annientata in nessun modo:
l'immortalità non ammette
eccezioni e, d'altra parte, nulla
può nuocere a ciò che è eterno.
Stammi bene.

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