Lasciate ogne speranza, Voi ch' intrate...
Vi aspetta un viaggio nella Cultura, nella Filosofia, nella Poesia, nella Sociologia, nel Gossip......by Phil :-)
venerdì 11 febbraio 2022
MISTERI:COSA SI PROVA MORENDO, RACCONTATO DA UN’INFERMIERA.
TRATTO DA IL PARANORMALE.COM
Penny Sartori ha trascorso più di vent’anni
lavorando in terapia intensiva e ha visto
molte cose irrazionali. Ora cerca di
trovare loro una spiegazione
Le unità di cure palliative o di terapia
intensiva degli ospedali hanno uno
stretto rapporto con la morte, dando
luogo a numerose esperienze che sfuggono
a qualsiasi spiegazione razionale.
Pazienti che intuiscono il momento
esatto in cui moriranno, altri che
sembrano decidere da sé il giorno e
l’ora, affrettando o ritardando la morte,
sogni premonitori di familiari o presentimenti
di terze persone che senza neanche sapere
che qualcuno è ricoverato o ha subito un
incidente sono sicuri che sia morto.
Solo i professionisti sanitari che
lavorano da vicino con i pazienti terminali
conoscono in prima persona la portata e la
varietà di queste strane esperienze. La
scienza non è stata capace di offrire
alcun tipo di risposta, per cui in genere
vengono descritte come eventi paranormali
o soprannaturali. Un’etichetta “troppo vaga
per la grandezza di queste esperienze”,
secondo l’infermiera britannica Penny
Sartori, che da circa vent’anni lavora
nell’unità di terapia intensiva.
Una carriera sufficientemente solida per
aver visto di tutto, intuire standard ed
elaborare ipotesi su questi fenomeni. È
a tal punto così che sta per discutere
una tesi di dottorato sul tema, le cui
conclusioni principali verranno anticipate
nel libro The Wisdom Of Near-Death
Experiences (La saggezza delle esperienze
vicine alla morte, Watkins Publishing).
“Allucinazioni” condivise da familiari
Nel corso della sua carriera, la Sartori
ha incontrato pazienti che hanno vissuto
esperienze vicine alla morte (EVM) e familiari
che hanno vissuto da vicino esperienze
di morte condivisa (EMC). La quantità e la
ripetizione degli standard fa sì che
l’infermiera scarti l’ipotesi della
casualità o dell’impossibilità di
trovare un ragionamento logico per
questo diffuso fenomeno.
Tra il 70 e l’80% dei pazienti aspetta
di stare solo nella stanza prima di
morire.
La tesi principale della Sartori è
che “il nostro cervello è indipendente
dalla coscienza. È il mezzo per
canalizzarla, per cui in realtà è
fisicamente estranea al corpo”.
Un’idea che spiegherebbe, ha aggiunto
la dottoranda, perché “l’anima e la
coscienza possono sperimentarsi al
margine del corpo”, come nelle EVM o
nella meditazione buddista.
Gli esempi di cui la Sartori si
avvale nel suo libro sono molto numerosi,
ma tutti coincidono in genere nel
fatto che i pazienti che vivono le
EVM sono sempre quelli che abbracciano
la morte nel modo più tranquillo e
felice, come i familiari che presentono
la morte dei propri cari. Perché? In
base agli incontri che ha avuto con
questi ultimi, è dovuto al fatto che
sono convinti che si tratti solo della
fine della vita terrena.
Al margine del fatto che siano persone
credenti, agnostiche o atee, tutte
sperimentano il sogno o la visione di
come il familiare se ne andrà da questo
mondo guidato da qualcuno (coniugi già
defunti, esseri anonimi o angeli) e con
una chiara sensazione di “pace e amore”.
All’inizio, riferisce la Sartori, “mi
colpiva il fatto che alcuni familiari
dei defunti non si sentissero tristi
dopo aver diagnosticato la morte del
proprio caro, ma parlandoci mi sono
resa conto che in realtà erano tranquilli
per il fatto di aver sperimentato questa
sensazione di trascendenza della vita”.
Scegliere il momento “più appropriato”
per morire
Non è il caso degli esempi di persone
che sapendo quando moriranno chiedono
di restare qualche minuto da soli o
lo fanno proprio quando il familiare,
che rimane tutto il tempo al loro
fianco, li abbandona solo un momento
per andare in bagno. Altri casi che
richiamano l’attenzione allo stesso
modo sono quelli delle persone che
muoiono subito dopo aver visto un
familiare che tardava ad andare a
trovarli perché era all’estero, o
quando terminano tutti i documenti
relativi a eredità e assicurazioni
sulla vita. “Sembrano attendere che
avvenga un evento specifico per
permettersi di morire”, ha riferito
l’infermiera. La sensazione di
trascendenza è sperimentata sia dai
credenti che dagli agnostici o atei.
Il direttore del Tucson Medical Center
John Lerma, specializzato in cure
palliative, ha raccolto esempi molto
simili a quelli citati dalla Sartori
in Into the Light: Real Life Stories
About Angelic Visits, Visions of the
Afterlife, and Other Pre-Death Experiences
(Nella Luce: Vere Storie di Vita su Visite
Angeliche, Visioni dell’Aldilà e Altre
Esperienze Pre-Morte, New Page Books).
Secondo i suoi resoconti, tra il 70 e
l’80% dei pazienti aspetta che i propri
cari escano dalla stanza per morire.
La Sartori rifiuta di credere che queste
esperienze siano motivate da allucinazioni.
“Non è possibile che varie persone vedano
la stessa cosa e siano capaci di descriverla
in modo uguale se è davvero una percezione
distorta della realtà”, ha indicato. Una tesi
che si basa sulle famose teorie del professor
Raymond Moody, che ha coniato il concetto di
esperienze vicine alla morte alla fine degli
anni Settanta del Novecento.
I suoi studi più innovativi si concentrano
sulle esperienze condivise dalle persone
che accompagnano coloro che si trovano in
trance di morte. “Aprono una via completamente
nuova di illuminazione razionale sulla
questione della vita dopo la morte, perché
le persone che comunicano queste esperienze
sono sane. In genere sono sedute accanto al
letto di morte di una persona cara quando
sopravviene una di queste esperienze
meravigliose e misteriose. E il fatto
stesso che le persone non siano prossime
alla morte invalida la clausola di esenzione.
Visto che le loro esperienze non si possono
attribuire a mancanze della chimica cerebrale,
dovremo andare al di là di questa argomentazione”.
Nuove vie di studio
Il ricorso, “cinico” secondo la Sartori,
a spiegare questo fenomeno a partire
dalle disfunzioni cerebrali non si
sostiene nemmeno con gli esempi di
persone ricoverate con Alzheimer avanzato
che all’improvviso recuperano la capacità
di raziocinio.
“Si tratta di pazienti in uno stadio terminale
della malattia, incapaci di articolare la parola,
che in modo sorprendente iniziano a parlare con
la massima coerenza, interagendo con gente che
non è nella stanza e che spesso sono familiari
defunti”, ha spiegato la Sartori.
“In genere accade che dopo questa esperienza
smettono di essere agitati e finiscono per
morire con un sorriso sul volto, solitamente
uno o due giorni dopo”.
Anche l’idea che queste visioni siano indotte
dai farmaci non è accettata dalla Sartori,
perché “questi provocano ansia, tutto il contrario
di ciò che provano i pazienti”.
Nel suo libro, l’autrice sostiene che questo
tipo di esperienze, raccolte nel corso di tutta
la sua carriera, possono essere fondamentali
per dimostrare l’esistenza di una vita dopo
la morte, e che devono almeno aprire una nuova
via di studio (come alcune che partono dalla
fisica quantistica) per gli studi scientifici.
Quello di cui dice di essere convinta è che
“la morte non è terribile quanto la immaginiamo
di solito”.
[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta
Sciamplicotti]
FONTE: http://it.aleteia.org
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